Se la bellissima fanciulla, con i gli occhi verdi e viola e i lunghi capelli color cenere, di cui Zeus si era perdutamente innamorato, avesse ceduto alle sue lusinghe, oggi non esisterebbero al mondo i carciofi: spinosi e pungenti ortaggi, originari del Mediterraneo orientale, che, secondo la mitologia, pare custodiscano il cuore tenero della ninfa Cynara, che ai carciofi ha anche dato il loro nome latino.
Cynara, nome che, secondo lo scrittore Lucio G.M. Columella, autore del De re rustica, il più ampio trattato di agricoltura dell’antichità, deriverebbe da cinis, per la consuetudine largamente diffusa, di usare appunto la cenere come fertilizzante dei terreni dove i carciofi venivano coltivati.
In Spagna, invece, il carciofo si chiama alcachofa, e deriva dalla parola harshùf, alla quale viene aggiunto l’articolo arabo al, per sottolineare l’antica origine di questa pianta, apprezzata già dagli Egiziani e dai Greci e poi largamente diffusa al tempo dei Romani, che lo importavano appunto dalla Spagna e dall’Africa, ma che, a causa “della durezza, delle spine e della amaritudine” – come scrive Ludovico Ariosto – fu poi messa da parte, almeno fino all’età moderna.
Venuto dalla Sicilia e apprezzato dai francesi, che chiamarono “Les Chardon” il terreno dove i carciofi venivano coltivati in abbondanza (da cui l’attuale nome dato al carcere dell’Ucciardone), il carciofo arriverà in Toscana solo verso il 1466 grazie a Filippo Strozzi il Vecchio, ma bisognerà aspettare i primi del Cinquecento, per ritrovare un riferimento ai carciofi nel trattato culinario di Bartolomeo Scappi “Arte del cucinare” e una ricetta eseguita, usando un battuto di carne magra di vitello e prosciutto mescolato con formaggio, uova, spezie, aglio ed erbette, per preparare i carciofi ripieni.
Il merito di averli fatti conoscere in Francia e poi in America vanno, infine, riconosciuti rispettivamente a Caterina De’ Medici (1519 – 1589) che ne era addirittura ingorda e ai colonizzatori spagnoli, che li diffusero nel Nuovo Continente, ma sembra che i carciofi non mancassero nemmeno nella cucina di Enrico VIII, dove venivano serviti crudi, conditi con olio, aceto, sale e pepe e accompagnati sempre con un buon bicchiere di vino o fritti nel burro e conditi con il prezzemolo.
Particolarmente ricco di minerali e vitamine, digestivo e tonico, grazie al contenuto di cynarina, il carciofo, povero di calorie e ricco di fibre, aumenta la produzione di bile, dissolvendo i calcoli e la diuresi, protegge il fegato e aiuta a ridurre il livello di colesterolo nel sangue, risultando, insomma, un vero toccasana per l’intero organismo.
Un ortaggio insomma veramente ricco di virtù terapeutiche e anche afrodisiache, che non erano sfuggite nemmeno al medico Castor Durante da Gualdo (1529 – 1590), il quale, nel suo breviario del mangiar sano e star bene: Il tesoro della sanità, descrisse i carciofi come “aperitivi”capaci di aprire lo stomaco e di risultare “grati al gusto.”
Ode al carciofo, insomma, proprio come ha scritto nei suoi versi Pablo Neruda.
La Cuoca Galante – Food blogger Napoli
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